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L’ARTIGIANO DEL 2000 VS L’ARTIGIANO DEL 2050

In occasione del 40° anniversario della rivista abbiamo deciso di pubblicare alcuni pezzi che hanno fatto la storia del nostro settore nella speranza che questi contribuiti possano essere da stimolo alle nuove leve per ulteriore innovazione a beneficio della filiera. In un contesto in cui il revisionismo storico viene impiegato da taluni per strumentalizzare il nome dei grandi maestri a favore di una o altra idea passeggera ci sembra giusto partire con un testo speciale: il primo articolo di Luca Caviezel apparso su Gelato Artigianale (in occasione della fiera Host Milano 1988). Caviezel in questo testo di fine anni ’80 rifletteva sul ruolo delle aziende e dell’artigiano nel gelato che sarebbe stato nel primo quarto di secolo (2000/2025), incredibile constatare come molte delle riflessioni dell’epoca siano attualissime ancora oggi… viene quindi da chiedersi quale gelato ci accompagnerà a metà del nostro secolo.

li artigiani del 2000”: In occasione dell’ultimo Sigep di Rimini (1988) sono stato coinvolto in una disputa, assai vivace se pure amichevole, con altri colleghi gelatieri e pasticceri sul tema dell’uso dei semilavorati in gelateria. Un argomento che ritenevo fosse ormai quasi superato: non avrei mai pensato che i pareri a favore e contro potessero avere così tante motivazioni ed essere argomentati con tanta vivacità. Quello che mi ha sorpreso di più è stato scoprire che spesso una ben precisa presa di posizione da parte di un gelatiere viene determinata dal modo in cui in origine è avvenuto l’impatto con il prodotto. Invece l‘atteggiamento del tipo trionfalistico “Io lavoro con le ricette di mio padre e di mio nonno” non mi è sembrato essere il più diffuso. Altri evidenziavano una macroscopica disinformazione sulle funzioni e sulla natura stessa del prodotto semilavorato. Molta strada è stata compiuta positivamente dal gelatiere artigiano negli ultimi decenni. Il merito di buona parte di questo progresso va riconosciuto alle industrie costruttrici di macchine ed a quelle dei preparati per gelateria. Trent’anni fa è stata imboccata la strada giusta che fra l’altro ci ha insegnato a richiamare e ricordare la necessità di un continuo  aggiornamento verso mete sempre più compiute. Questo perfezionamento continuo dovrà interessare tutti gli aspetti della nostra attività, da quella produttiva alle vendite, dai problemi amministrativi a quelli di mercato e legislativi. L’artigiano del domani non dovrà solamente saper produrre e vendere bene ma essere un vero e proprio manager. Desideriamo rimanere artigiani? Riteniamo che le peculiari caratteristiche dell’artigianato siano oggi ancora valide? E per il prossimo più lontano futuro, come si collocherà l’artigiano in una civiltà sempre più industrializzata? Ci sarà spazio per l’anima artigiana che profonde soprattutto passione, gusto ed amore per il lavoro ben fatto? Curare la nostra vera identità di artigiani e prenderne coscienza mi sembra un passo fondamentale da compiere. Infondere al nostro lavoro, pur adeguandosi alle più avanzate tecniche e tecnologie, quello spirito di liberà creatività, di gusto, di perfezione, di passione, significa conservare un valore inestimabile senza il quale si svuota e muore l’anima artigiana. Questo lungo preambolo al tema dei semilavorati in gelateria non vuole certamente significare un rifiuto, una chiusura  preconcetta al prodotto come tale. Sarebbe quanto meno irrazionale, sciocco e mancante di senso realistico il non riconoscere l’utilità dei semilavorati. Questi peraltro non sono un’invenzione degli ultimi anni, né sono prodotti riservati esclusivamente al settore della gelateria artigiana. Fra le industrie fornitrici di semilavorati per gelateria ve ne sono alcune che vantano decenni di qualificata attività. Una di queste compirà fra pochi anni addirittura il centenario. Semilavorati di tutti i tipi si trovano nelle credenze dei laboratori di pasticceria, persino nelle dispense delle cucine di alberghi e di ristoranti. Anche il cuoco di grido attinge oggi a prodotti semilavorati, mantenendo qualitativamente alta la sua produzione. Uno dei massimi maestri della cucina italiana, Gualtiero Marchesi, si è espresso così in una recente intervista: “Il ristorante del futuro sarò un tre stelle che farà uso di prodotti surgelati o conservati sotto vuoto. Tecnologia avanzata della conservazione e ricerca del gusto, sintesi tra approccio scientifico e sensibilità culinaria rappresentano l’unica chiave di lettura possibile del futuro della cucina italiana”. E che dire dell’infinità di semi-preparati per la cucina domestica, che riempiono gli scaffali dei supermercati e  dei nostri frigoriferi? Ormai in tutti i paesi industrializzati è sempre più largo il ricorso a prodotti semilavorati dell’industria. Classificarli non è facile, ne fanno parte tutti quei prodotti fioriti in grande abbondanza negli ultimi decenni, creati dalle industrie specializzate per alleggerire ed abbreviare il lavoro dell’artigiano. Sono dei preparati dei quali potenzialmente l’artigiano gelatiere potrebbe fare a meno ma nel contesto tecnologico sempre più avanzato sono indispensabili. Va anche detto che molti di questi preparati, oltre a rendere più scorrevole e razionale il lavoro dell’operatore, lo stimolano e lo sollecitano ad un continuo aggiornamento in ordine a nuove tecniche di lavorazione ed alla conoscenza e all’impiego di nuovi ritrovati. Va anche segnalato che queste industrie contribuiscono con la continua ricerca di nuovi prodotti e nuove proposte a stimolare la dinamicità di tutta una categoria di operatori artigiani. Oggi ancora nasce a volte fra colleghi gelatieri qualche polemica circa l’uso di questi prodotti “industriali”. Spesso chi li usa non desidera farne parte al collega come se avesse a vergognarsene, cose se il fatto fosse professionalmente umiliante o quanto meno poco qualificante. Nel prendere posizione il gelatiere si è trovato di fronte ad una realtà che egli rifiutava proprio in quanto temeva inconsciamente di essere depauperato di valori a cui tiene professionalmente. Su questo piano il collega che imposta cosi il problema mi trova solidale, credo comunque che occorra vedere le cose da un’ottica un pò diversa, vorrei dire più moderna. Il semilavorato nei confronti delle vecchie generazioni di gelatieri è stato troppo tempo capro espiatorio a causa di diversi fattori: questi  prodotti venivano etichettati come colpevoli di aver permesso a nuovi gelatieri “senza arte ne parte” di aprire a breve distanza dalla gelateria un nuovo locale in grado di fare concorrenza al vecchio, un gelatiere di lungo corso si scontrava con alcuni venditori colpevoli di fare i “sapientoni”, senza dimenticare tanti neo gelatieri che si vantavano di frequentare corsi non tanto per imparare un mestiere ma per ottenere un diploma di partecipazione. Queste e mille storie simili, se da un canto ci rendono comprensibili certi atteggiamenti del gelatiere, dall’altra parte esprimono note dissonanti con la realtà in cui viviamo. Condivido quanto dice il mio amico Carlo Pozzi, che se il semilavorato non esistesse bisognerebbe inventarlo. Quale sarebbe infatti l’artigiano gelatiere in grado di produrre ogni giorno decine di gusti diversi di gelato non disponendo del prezioso aiuto fornitogli dalle paste aromatizzanti? Alle volte sento obiettare che i semilavorati costano: Vi sono sul nostro mercato molti prodotti di assoluto pregio ed il loro prezzo è equivalente alla qualità ed  al servizio che rendono. Sta quindi al collega gelatiere valutare, con senso critico e senza preconcetti, i pro e gli eventuali contro. Ricordavo più sopra che molti anni di cammino sono stati percorsi dal gelatiere italiano con le industrie specializzate di prodotti semilavorati per gelateria. Sono stati anni di grandi successi per il gelato italiano a cui tutti hanno contribuito. Nessun altro paese al mondo dispone di una così larga e qualificata presenza di industrie del settore dei semilavorati di gelateria, e di conseguenza nessun altro gelatiere al mondo ha a portata di mano una così vasta gamma di prodotti ausiliari. Per il futuro dobbiamo quindi formulare l’augurio di una collaborazione ancora più costruttiva e produttiva. Credo che a tutti serva la sempre più qualificata crescita professionale del gelatiere, affinché il prodotto da lui confezionato e messo in vendita mantenga alta l’immagine del gelato artigianale italiano.

Luca Caviezel – Gelato Artigianale Num. 19, Pagina 75 – Ottobre 1988

Il gelato del futuro

In futuro ci attende la più grande sfida di sempre per il nostro settore: coniugare la tradizione e il saper fare italiano con lo sviluppo di nuovi mercati. Di recente ho presenziato ad un incontro che vedeva la partecipazione di importanti imprenditori provenienti da settori diversi tra loro: con un certo piacere ho spiegato a questi signori che il gelato in molti mercati è ancora vergine. Porto sovente a questo riguardo il parallelismo tra il gelato e l’automotive: quante quote di mercato il settore dell’auto può ancora aprire? Eccezion fatta per qualche milione di chilometri di asfalto nel continente africano ed in paesi meno sviluppati, (dove peraltro l’esigenza dell’auto ci sarà solo se le infrastrutture sociali andranno di pari passo), il mercato dell’auto come noi lo conosciamo è saturo e anzi sta subendo le scellerate politiche del legislatore europeo in tema elettrico con pesanti ricadute negative su posti di lavoro e mobilità senza contare che le nuove generazioni vedono l’auto come un costo, non più come uno status simbol da raggiungere.Il gelato è invece al di sotto del 50% della sua potenzialità: nel mondo ci sono 100.000 punti vendita, buona parte dei quali in Europa. Capiamo la potenzialità di sviluppo del nostro mercato quando rapportiamo le gelaterie statunitensi alla sola Lombardia: in Lombardia ci sono il doppio o il triplo di gelaterie rispetto ai soli USA. Questo ci fa capire due cose: il Lombardia ci sono troppe gelaterie, nel resto del mondo è ancora quasi tutto da costruire. Attenzione: se i mercati non domestici sono così poco sviluppati un motivo c’è. Questo è essenzialmente culturale: i consumatori non sono abituati al prodotto dolce freddo o consumano prodotti alternativi ben radicati nella  propria cultura di appartenenza. Ma è proprio qui che si gioca la sfida: la filiera può e deve fare squadra per sviluppare questi nuovi mercati. E’ in questo frangente che rimpiangiamo i grandi del nostro settore che negli anni 60 e 70 in fiat 500, lavorando 18/19 ore al giorno, hanno “bussato alle porte dell’Europa” per far crescere il nostro business. Siamo a corto di pionieri, forse anche perché di persone con il culto del “lavoro sopra ogni cosa” ve ne sono sempre meno, ma tant’è. Questo non ci fermerà: a chi mi chiede, perlomeno fuori dall’Italia, il gelato cosa ci riserva do sempre e una sola risposta. Siamo chiamati a raddoppiare, triplicare se possibile, gli attuali volumi. Noi siamo il made in Italy del gelato, che rapportato al made in Italy di altri prodotti è ancora agli albori, e ha davanti a se decenni per crescere. Questo a patto di non perdere più nessuna occasione: dialogare il più possibile, lavorare tutti assieme e sfruttare ogni possibilità a nostra di- sposizione. Questo invito lo estendo anche ai fondi di investimento che sono guidati da tanti bravi manager, che per questo devono sforzarsi di guardare oltre il round finanziario a 2/3 anni per il bene delle aziende che rappresentano. Guardando al mercato domestico ancora tanti mercati possono raddoppiare: la Spagna, la Grecia, l’Ungheria e i paesi balcanici in testa. Dove invece il gelato è maturo per numero di punti vendita (Italia e Germania), si pongono innanzi a noi sfide ancora più avvincenti. La qualità totale ci salverà: di recente un grande manager di una nota azienda mi ha fatto riflettere su un punto. Noi vendiamo coccole: il gelato è un prodotto intrinsicamente legato al piacere. Si dovrà allora comunicarlo ancora di più questo piacere: non so a voi ma a me le gelaterie mediocri non sono mai piaciute. Se non cambiano pelle sono destinate a scomparire, anche perchè il consumatore cresce, e se tanti bar mediocri da tempo non sono più redditizi, dobbiamo porci delle domande riguardo alla sostenibilità economica della nostra attività. In futuro sarà necessario fare un ulteriore salto di qualità: i gelatieri dovranno comunicare il più possibile con il cliente, fagli provare le novità, aprire le porte dei loro laboratori con eventi dedicati, instaurare un rapporto di “famiglia” con chi abita in prossimità della gelateria. Nella gelateria del futuro sogno di vedere il gelatiere come l’amico buono di grandi e piccini, capace di rievocare quel fascino che solo le melodie dei carrettini d’un tempo sotto al sole estivo erano capaci di trasmettere, attirando persone fuori dalle case in attesa dell’agognato momento di gioia che solo il gelato sapeva por- tare. A questo punto qualcuno potrà giustamente chiedersi… …comunicare cosa?

La prima risposta è la qualità.

I fornitori che abbiamo, gli ingredienti che scegliamo, sono figli di un percorso ragionato che ci ha portato a individuare quei prodotti che riteniamo migliori. Allora perchè non portarli “in palmo di mano”? Comunicate al consumatore cosa c’è nel vostro gelato, spiegategli che le basi altro non sono che latte e zucchero con un poco di stabilizzante, fatte dalle migliori aziende del settore. Vogliamo poi parlare delle paste? Acquistate le migliori materie prime che incidono poco,  pochissimo, sul conto economico della gelateria ma sono in grado di  posizionarla ad alti livelli. Verrà naturale valorizzare queste scelte e motivarle al consumatore. La qualità va scelta e comunicata: spiegate al cliente che il vostro gelato costa di più perchè al suo interno vi sono prodotti meravigliosi. Aprite da ultimo le porte dei vostri laboratori: create ove possibile eventi dedicati e/o laboratori tematici. Il consumatore si sentirà a casa: e questa esperienza non avrà prezzo. Trasformate il vostro gelato in un Marchio irrinunciabile e che vada oltre un prodotto facilmente sostituibile. Di recente in una nota lezione alla LSE di Londra si è parlato del  concetto di esperienza. Quando un consumatore acquista un Rolex, egli non sta comprando un segna tempo, sta comprando un’esperienza, quando preferiamo la piccola bottega artigiana alla grande distribuzione, persino quando un cliente acquista una Tesla compra una visione non un’automobile… cosa differenzia un brand o un altro? Più che le concrete prestazioni di quanto acquistiamo sono l’esperienza e le sensazioni positive correlate ad essa che determinano la nostra affinità ad un marchio. Il gelato ha un fascino senza eguali, è il momento di farlo valere.